miércoles, 31 de diciembre de 2008

Lucio Battisti. Pensieri e parole

Auguri!!


L'usanza più caratteristica come rito di eliminazione del male, fisico e morale, accumulatesi nell'anno trascorso, è lanciare i cocci a mezzanotte. L'usanza è variamente diffusa in Italia, ed è ancora viva in grandi città come Roma e Napoli. Ai cocci rotti, poi, si accompagnano gli spari, col duplice significato di cacciare gli spiriti maligni, e di esprimere allegria: quest'ultimo significato ha assunto un ruolo prevalente nella coscienza popolare, durante gli ultimi anni. All'inizio dell'anno, queste tradizioni hanno soprattutto l’obiettivo di assicurarsi l'abbondanza, il benessere e la felicità per l’intero anno. Ciò si ricerca anzitutto attraverso la scelta dei cibi e dei dolci, tipici di quel giorno. La minestra di lenticchie, l'uva passa, secondo la tradizione popolare portano soldi. Un altro elemento propiziatorio è dato dalle strenne: ricevere molti regali, accumulerà l'abbondanza per tutto l'anno. L'uso presso i romani si chiamava “streniarum commercium”.

In varie regioni, durante la notte di Capodanno, gruppi di giovani vanno per le strade a cantare la “strenna”, con gli auguri di un felice anno nuovo e la richiesta di doni. Così fanno i ragazzi nel Veronese:

“Bon dì, bon ano, bon capo d'ano;
le bone feste le bone minestre;
na roca de cana, la padrona la stoga sana:
a Natal un bei porzèl, a Pasqua un bei aenèi;
un granar carco de tormento e formenton,
una canova de vin bon,
una borsa d'oro e n'antra d'argento:
caro paron, feme la bona man, che mi son contento”.

Inoltre: sempre per questa festa, vengono rievocati i prodigi. A Pettorano sul Gizio, in Abruzzo, vi è la credenza che, nel preciso momento in cui scocca la mezzanotte di Capodanno, l'acqua del fiume si arresti e diventi d’oro, e subito dopo torni a scorrere come prima. Una donna ignara del prodigio, si trovò ad attingere proprio in quell'attimo e invece dell'acqua portò a casa la conca piena d'oro. Tra i pronostici, è importante notare la prima persona che incontreremo per strada. È di buon augurio incontrare un vecchio o un gobbo, mentre se si incontrerà un bambino o un prete si avrà disgrazia. La ragione di queste credenze è nel principio dell'analogia: il vecchio, vuoi dire che vivremo a lungo; il gobbo, porta bene sempre, tanto più nel giorno in cui tutte le forze hanno il massimo potere: così in Piemonte porta fortuna incontrare un carro di fieno o un cavallo bianco.

In Romagna, nella ricorrenza del Capodanno, si ha il principio dell'analogia e del contrasto in Romagna, dove i contadini dicono che “bisogna fare un poco di tutti i lavori perché cosi vanno a riuscire tutti bene”.

Nell'Abruzzo, invece: sono le donne che danno inizio a quante più faccende è possibile fare. In altre regioni, il primo dell'anno deve trascorrere in riposo, altrimenti ci si affannerà per tutto l'anno. Un'altra diffusa credenza è quella delle “calende”, per la quale si ritiene che dal tempo che farà nei primi dodici giorni dell'anno si possa prevedere quello che farà nei dodici mesi.
Ragazzi, tanti auguri di un 2009 felice!! Non mi va di rifarmi alle formule standard, buone per tutti. E allora il mio augurio, il nostro augurio, vorrebbe raggiungere uno a uno ciascuno di voi, cari amici, che ci premiate con la vostra fedeltà. E' stato bello conoscervi. Un bacio a tutti i blogger. Alberto

domingo, 28 de diciembre de 2008

Tradizioni di Natale V: Il Capodanno.

Anno nuovo, vita nuova. Per salutare l’anno vecchio che se ne va e per festeggiare 12 nuovi mesi che arrivano, ci sono tante tradizioni, che ormai si tramandano da anni. Speranza, fortuna, abbondanza, amore, serenità… piccoli gesti e riti scaramantici che strizzano l’occhio alla fortuna.

1. Lenticchie: in Italia, che cenone è, se non ci sono le lenticchie? Da Nord a Sud della Penisola, su ogni tavola arriva un piatto ricco di piccoli legumi. La lenticchia, già in epoca romana, simboleggiava l’abbondanza, il denaro. Ogni lenticchia è una moneta, quindi più ne mangeremo e più soldi avremo!
2. Zampone e cotechino: la carne di maiale è sicuramente tra le più nutrienti, proprio per questo, lo zampone e il cotechino sono divenute il simbolo dell’abbondanza. Mangiare queste due pietanze a capodanno promette un anno ricco e fortunato. Ah! ...e in Sicilia si usa mangiare il pesce.
3. Uva e frutta secca: "chi mangia l'uva per Capodanno conta i quattrini tutto l'anno", così recita un antico proverbio. Questo perché cogliere l’uva nel periodo invernale significava avere avuto un raccolto ricco.
4. Il prete e l'alto. Dopo mezzanotte: fate entrare in casa un prete o un uomo molto alto dai capelli neri. Porterà fortuna alla vostra abitazione per tutto il nuovo anno.
5. Vischio: la notte di capodanno, appendere del vischio sulle porte, allontanerà gli spiriti maligni dalla vostra casa. La tradizione arriva direttamente da antichi credenze tramandate dai Druidi. Ah! e baciarsi sotto il vischio, ovviamente!!!!
6. Contro gli spiriti maligni: per allontanate gli spiriti maligni dalla vostra abitazione basterà aprire la finestra di una stanza buia poco prima della mezzanotte. Non dimenticate di aprirne un’altra, ma questa volta di una stanza illuminata: accoglierete gli spiriti del bene. Almeno così recita la tradizione.
7. Primo dell’anno: l’anno nuovo è arrivato e se uscite di casa non fatelo mai con le tasche vuote, ma con qualche soldo. L’usanza afferma che, così facendo, l’anno appena nato non sarà "magro".
8. Denaro: mai negare un prestito di denaro chiesto a Capodanno, il denaro prestato torna indietro centuplicato.
9. Nuovo/Vecchio: indossare un indumento nuovo e buttare qualcosa di vecchio.
10. Indossare intimo rosso: dicono porti bene.

jueves, 25 de diciembre de 2008

Sicily. Il profumo.



Dolce & Gabbana, Sicily, ritratto di Sicilia, passione, tradizione e simbolismo. Un profumo caratterizzato da note orientali e floreali di bergamotto di Sicilia, rosa, gelsomino e sandalo. Sicily...il profumo!

Tradizioni di Natale IV: la Befana


La Befana è, nell’immaginario collettivo, un mitico personaggio con l’aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni la notte tra il 5 e il 6 gennaio, festa appunto dell'Epifania che segue il Natale e che commemora la visita dei Magi a Gesù.


La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi.


L’iconografia è fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate.


Si rifà al suo aspetto la filastrocca (la Befanata) che viene recitata in suo onore:


La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col cappello alla romana
viva viva la Befana!


Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, a cavalcioni di una scopa, sotto il peso di un sacco stracolmo di giocattoli, cioccolatini e caramelle (sul cui fondo non manca mai anche una buona dose di cenere e carbone), passa sopra i tetti e calandosi dai camini riempie le calze lasciate appese dai bambini. Questi, da parte loro, preparano per la buona vecchia, in un piatto, un mandarino o un’arancia e un bicchiere di vino. Il mattino successivo insieme ai regali troveranno il pasto consumato e l’impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto.


Nella società contadina e preindustriale, salvo rari casi, i doni consistevano in caramelle, dolcetti, noci e mandarini, insieme a dosi più o meno consistenti (a insindacabile giudizio della Befana) di cenere e carbone, come punizione delle inevitabili marachelle dell’anno.La Befana, tradizione tipicamente italiana, non ancora soppiantata dalla figura “straniera” di Babbo Natale, rappresentava anche l’occasione per integrare il magro bilancio familiare di molti che, indossati i panni della Vecchia, quella notte tra il 5 il 6 gennaio, passavano di casa incasa ricevendo doni, perlopiù in natura, in cambio di un augurio e di un sorriso.


Oggi, se si indossano gli abiti della Befana, lo si fa per rimpossessarsi del suo ruolo; dispensatrice di regali e di piccole ramanzine per gli inevitabili capricci di tutti. Dopo un periodo in cui era stata relegata nel dimenticatoio, ora la Befana sta vivendo una seconda giovinezza, legata alla riscoperta e alla valorizzazione delle antiche radici e della più autentica identità culturale.

martes, 23 de diciembre de 2008

lunes, 22 de diciembre de 2008

Tradizioni di Natale III: l'agrifoglio.


Un piccolo orfanello viveva presso alcuni pastori quando gli angeli apparvero annunciando la lieta novella della nascita di Cristo.


Sulla via di Betlemme, il bimbo intrecciò una corona di rami d'alloro per il neonato, ma quando la pose davanti a Gesù, la corona gli sembrò così indegna che il pastorello si vergognò del suo dono e cominciò a piangere.


Allora Gesù toccò la corona, fece in modo che le sue foglie brillassero di un verde intenso e cambiò le lacrime dell'orfanello in bacche rosse.

SMS ricevuto sul mio telefonino.

Buon Natale a tutti i miei cari amici di Laredo. Ana

domingo, 21 de diciembre de 2008

René Magritte


The Palace of Curtains, II, Paris, 1928-29
MOMA NYC

Tradizioni di Natale II: Babbo Natale.


Nicola, nato in Turchia e divenuto vescovo di Myra, nell’Asia Minore, attorno al 350 d. C., divenne popolare per la sua bontà e carità. Intorno a lui, negli anni che seguirono la sua morte, si diffusero numerosissime leggende.

Una tra le più famose, confermata anche da Dante nel Purgatorio, è quella che racconta come Nicola, addolorato dal pianto e commosso dalle preghiere di un nobiluomo impossibilitato a sposare le sue tre figlie perché caduto in miseria, decise di intervenire lanciando per tre notti consecutive, attraverso una finestra, tre sacchi di monete come dote per le ragazze. La prima e la seconda notte le cose andarono come stabilito, ma la terza notte San Nicola trovò la finestra inspiegabilmente chiusa e decise di arrampicarsi sul tetto per gettare il sacchetto di monete attraverso il camino.

Quando morì, le spoglie del santo, o le presunte tali, vennero deposte a Myra fino al 1087. In quell'anno vennero trafugate da un gruppo di cavalieri italiani e portate a Bari, dove sono tuttora conservate, e di cui San Nicola è divenuto il santo protettore.

Dal Medioevo in poi la figura di San Nicola, il santo generoso, assunse diversi nomi e fisionomie nei vari paesi europei: Father Christmas in Inghilterra, Julenisse in Scandinavia, Saint Nicolas in Svizzera, Père Noël in Francia, SinterKlaas in Olanda. I protestanti, dopo la Riforma, gli affidarono la missione di portare regali ai bambini, però gli tolsero i paramenti solenni da vescovo, troppo vicini alle raffigurazioni dei Cattolici.

Gli uomini non cambiano

Tradizioni di Natale: la corona d'Avvento.


L'uso della Corona d'Avvento è da collegarsi ad un'antica consuetudine germanico-precristiana, derivata dai riti pagani della luce, che si celebravano del mese di Yule (dicembre).

Nel XVI secolo si diffuse tra i cristiani divenendo un simbolo di questo periodo che precede il Natale.

La Corona d'Avvento è un cerchio realizzato con foglie di alloro o rametti di abete (il loro colore verde simboleggia la speranza, la vita) con quattro ceri.

Durante il Tempo di Avvento (quattro settimane) ogni domenica si accende un cero. Secondo una tradizione, ogni cero ha un suo significato: c'è il cero dei profeti, il cero di Betlemme, quello dei pastori e quello degli angeli. La corona può venire appoggiata su un ripiano o appesa al lampadario.

sábado, 20 de diciembre de 2008

sábado, 13 de diciembre de 2008

Felice Anno Nuovo


La leggenda del Pandoro di Verona.


Il nome pandoro descrive il colore, il giallo oro, conferito all’impasto leggero e soffice dalle uova.
Il dolce natalizio per eccellenza ha un sapore molto delicato e leggermente profumato di vaniglia.
La fonte più antica lo fa risalire al primo secolo dopo Cristo, ai tempi di Plinio: in essa si cita un pane preparato con fior di farina, burro e olio.
Qualcuno ne fa risalire la nascita nella Repubblica Veneta del ‘500, quando si servivano, nelle ricche tavole, dolci di forma conica, ricoperti da foglie d’oro, chiamati Pan de Oro.
Secondo altri l’origine deriva da un antico dolce, a forma di stella, che i veronesi consumavano a Natale: il nadalin.
La versione più recente sull’origine del pandoro lo lega alla Casa Reale degli Asburgo: fin dal ‘700-’800 erano note le due tecniche del croissant e del Pane di Vienna, le quali sono rimaste alla base della preparazione del pandoro.
Per i veronesi l’ offella non è il biscotto secco, come accade nel Milanese e nel Pavese, bensì un dolce sontuoso di grande tradizione, che ha il suo centro di maggior produzione a Bovolone, operosa contrada del Basso Veronese, verso Rovigo. Nella zona di Bovolone la bottega del pasticciere si chiama appunto offelleria.
Inizialmente caratteristico dolce natalizio, l’offella viene preparato adesso tutto l’anno.
È un soffice e profumato pane dolce lievitato ricco di burro, appena coperto da una glassa croccante di zucchero. Di tradizione antica, si potrebbe considerare l’antenato ufficiale del pandoro, il quale ha varcato i confini di Verona ed è entrato nell’industria dolciaria italiana.
Alla fine dell’800 era in atto una contesa per aggiudicarsi il merito di fare il pandoro più buono, tanto che nel 1984 il panettiere Domenico Melegatti pensò di brevettarlo. Nel 1933, Ruggero Bauli iniziò i primi esperimenti per migliorare il suo pandoro.

La leggenda del Panettone.


Si narra che alla vigilia di Natale, nella corte del Duca Ludovico il Moro, Signore di Milano, si tenne un gran pranzo. Per quell’occasione il capo della cucina aveva predisposto un dolce particolare, degno di chiudere con successo il fastoso banchetto. Accortosi che il dolce era bruciato durante la cottura, il panico colse l'intera cucina. Per rimediare alla mancanza, uno sguattero della cucina, detto Toni, propose un dolce che aveva preparato per sé, usando degli ingredienti che aveva trovato a disposizione tra gli avanzi della precedente preparazione. Il capo cuoco, non avendo altro da scegliere, decise di rischiare il tutto per tutto, servendo l'unico dolce che aveva a disposizione. Un "pane dolce" inconsueto fu presentato agli invitati del Duca, profumato di frutta candita e burro, con una cupola ben brunita, fu accolto da fragorosi applausi e, in un istante, andò a ruba. Un coro di lodi si levò unanime e gli ospiti chiesero al padrone di conoscere il nome e l’autore di questo straordinario pane dolce. Toni si fece avanti dicendo di non avergli ancora dato nessun nome. Il Duca allora lo battezzò con il nome del suo creatore e da quel momento tutti mangiano e festeggiano con il "pan del Toni", ossia il panettone, famoso ormai in tutto il mondo. Molte ricette tradizionali vengono associate a storie simili, ma sicuramente questa e' la più bella.

miércoles, 3 de diciembre de 2008

viernes, 28 de noviembre de 2008

Lucchetti di Ponte Milvio


Da diverso tempo è consuetudine di giovani innamorati mettere un lucchetto sul lampione centrale di ponte Milvio o in altri ponti e gettare le chiavi nel fiume sottostante, così da rendere infrangibile il loro sogno d'amore.
L'usanza sembra essere stata iniziata a Firenze, dagli allievi ufficiali della Scuola di Sanità in Costa San Giorgio che, al momento del congedo, legavano il lucchetto del loro armadietto su una barra metallica oltre il parapetto del Ponte Vecchio. Questa tradizione è passata in seguito agli innamorati, ed è stata traslata a Roma e resa molto popolare a seguito del libro Ho voglia di te di Federico Moccia in cui, appunto, i due protagonisti si giurano amore eterno agganciando un lucchetto nel palo centrale del ponte dopo averlo serrato, buttandone poi via la chiave.
Il trafugamento a fine febbraio del 2007 di tali lucchetti (che avevano totalmente ricoperto il lampione) ha innestato una nota polemica dai vaghi quanto comici contorni politici. Il fenomeno - che di per sé sarebbe rilevante solo sotto il profilo antropologico (la medesima usanza è riscontrabile anche sul Ponte Vecchio di Firenze, dove viene attualmente utilizzata la cancellata del monumento dedicato a Benvenuto Cellini (dove è prevista una multa di 50 € per chi viene sorpreso dalle forze dell'ordine a mettere lucchetti) ed è assimilabile al rito di gettare una moneta nella Fontana di Trevi per garantirsi un ritorno nella Città Eterna). Secondo il quotidiano milanese "Il Corriere della Sera" del 2 marzo 2007, l'ostilità nei confronti dell'uso di appendere lucchetti al lampione del ponte avrebbe provocato addirittura la creazione di un apposito comitato di quartiere, interessato alla conservazione patrimoniale del Ponte.
I giornali hanno pubblicato la notizia secondo cui, nella notte tra il 2 ed il 3 marzo 2007, i lucchetti erano stati rubati da un gruppo di nomadi. I Carabinieri avrebbero ritrovato i lucchetti nel magazzino di un commerciante in materiali ferrosi usati e i lucchetti sarebbero stati rimessi al loro posto. Alcuni abitanti del quartiere avevano motivato già il 27 febbraio 2007 al quotidiano milanese "il Giornale" i motivi della loro ostilità ma non è comprovabile che essi siano i responsabili del gesto. I lucchetti tornati a far mostra di sé sul ponte sembrano inoltre nuovi, dal momento che quelli ritrovati, tagliati da cesoie apposite e in ogni caso senza chiavi, sarebbero stati del tutto inutilizzabili.
Il 13 aprile 2007 il lampione a cui sono appesi i lucchetti, per l'eccessivo peso è quasi crollato, spezzandosi sul punto del lume. Questo è via via accaduto ad altri tre lampioni, dei quali sono rimasti solamente i monconi dei pali, essendo crollati i lumi. Nel mese di luglio 2007 sono stati tolti i lucchetti dai lampioni e sul punto sono stati aggiunti dei pilastri davanti ai lampioni stessi sui quali sono state agganciate delle catene alle quali poi sono stati rimessi i lucchetti stessi. Il tutto per salvaguardare i lampioni, quattro dei quali, come detto, sono stati spezzati dal peso dei lucchetti (anche a causa del fatto che non ci si è limitati a porre i lucchetti sul palo del lampione ma anche sul cappello, piegando e in seguito spezzando il lume stesso).

(Wikipedia)

Scusa ma ti chiamo amore


Notte. Notte incantata. Notte dolorosa. Notte folle, magica e pazza. E poi ancora notte. Notte che sembra non passare mai. Notte che invece a volte passa troppo in fretta.


Queste sono le mie amiche, cavoli... Forti. Sono forti. Forti come Onde. Che non si fermano. Il problema sarà quando una di noi s’innamorerà sul serio di un uomo. «Ehi, aspettate ci sono anch’io!» Niki le guarda, una dopo l’altra. Sono a via dei Giuochi Istmici. Hanno la miniauto Aixam con gli sportelli aperti e, con la musica a palla, improvvisano una sfilata di moda. «E dai, vieni allora!» Olly cammina come una pazza su e giù per la strada. Volume al massimo e occhiali a fascia. Sembra Paris Hilton. Un cane abbaia a distanza. Arriva Erica, grande organizzatrice. Prende quattro bottiglie di Corona. Appoggia i tappi sul bordo di una ringhiera e, dando dei cazzotti, li fa saltare via uno dopo l’altro. Tira fuori un limone dallo zainetto e lo taglia.


«Ehi, Erica, ma quel coltello, se ti beccano, è meno di quattro dita?...»


Niki ride e l’aiuta. Prende e infila un pezzetto di limone all’interno di ogni Corona e, pum!, brindano sbattendole forte e le alzano alle stelle. Poi si sorridono quasi chiudendo gli occhi, sognando. Niki finisce di bere per prima. Un fiato lungo e si riprende. Forti le mie amiche, e si asciuga la bocca. È bello poter contare su di loro. Lecca con la lingua quell’ultima goccia di Corona.


«Ragazze, siete bellissime... Sapete che c’è? Mi manca l’amore.»


«Ti manca una scopata, vorrai dire.»


«Quanto sei bora» dice Diletta, «ha detto che le manca l’amore.»


«Sì, l’amore» riprende Niki, «quello splendido mistero a te sconosciuto...»


Olly alza le spalle.


Sì, pensa Niki. Mi manca l’amore. Ma ho diciassette anni, diciotto a maggio. C’è ancora tempo per me... «Aspettate, aspettate, ora sfilo io, eh...»


E procede spedita su quello strano marciapiede-passerella Niki, tra le sue amiche che fischiano e ridono e si divertono per quella strana, splendida, pantera bianca che, almeno per adesso, non ha ancora picchiato nessuno.

miércoles, 26 de noviembre de 2008

Capri


Arrivare a Capri è come approdare in un sogno. La tranquillità e la struggente bellezza dell'isola di Capri è immediatamente visibile. Un sogno, un fascino tutto da scoprire: forse è davvero l'isola che non c'è. Capri viene spesso definita in vari modi: L'isola blu, la bella dormiente o ancora l'isola dell'amore. Ma forse la definizione più idonea per l'isola di Capri, è quella che ogni uno di noi da bambino ha attribuito al luogo dei propri sogni.


L' isola di Capri è divisa in due comuni: Capri ed Anacapri. E' bagnata dal Mar Tirreno e dista 35 Km dalle coste napoletane, è legata alla penisola sorrentina da un prolungamento roccioso sottomarino lungo 5 Km. Con la sua roccia calcarea copre un territorio di 10,36 Kmq., ha delle coste molto alte e frastagliate; l'altezza massima e' raggiunta dal monte Solaro che arriva a 586 mt. Il clima e' temperato e umido, dunque la flora è rigogliosa e tipica mediterranea, la fauna invece, è piuttosto scarsa. Tra le maggiori bellezze naturali vi sono: La Grotta Azzurra e I Faraglioni. L'isola di Capri è agevolmente raggiungibile imbarcandosi su traghetti di linea sia dal porto di Napoli, che da quello di Sorrento. In ogni caso lo sbarco avviene a Marina Grande, a Nord dell'isola che è anche il punto di approdo per le barche dirette nel porto turistico di capri. Non è concesso l'imbarco di auto private ai non residenti se non nel periodo invernale.


Penélope

Para Rosa, Lola y Blanca, mis "Buchstabieren".

martes, 25 de noviembre de 2008

E ritorno da te

Fabrício y María,...a estudiar italiano!! Cuando vengais por aquí, nos hacemos un viajecito a Roma, ta? Besos.

domingo, 23 de noviembre de 2008

Il limoncello

Il liquore nacque proprio agli inizi del 1900, in una piccola pensione dell’Isola Azzurra, dove la signora Maria Antonia Farace curava un rigoglioso giardino di limoni e arance.

Il nipote, nel dopoguerra, aprì un’attività di ristorazione proprio nelle vicinanze della villa di Axel Munte. La specialità di quel bar era proprio il liquore di limoni realizzato con l’antica ricetta della nonna.

Nel 1988, il figlio Massimo Canale avviò a sua volta una piccola produzione artigianale di limoncello, registrandone il marchio. Ma in realtà, anche a Sorrento ed a Amalfi, fioccano leggende e racconti sulla produzione del tradizionale liquore giallo.

In costiera, ad esempio, la storia narra che le grandi famiglie sorrentine, agli inizi del 1900, non facevano mai mancare agli ospiti illustri un assaggio di limoncello, realizzato secondo la tradizionale ricetta.

Ad Amalfi, c’è chi sostiene addirittura che il liquore abbia origini molto antiche, quasi legate alla coltivazione del limone. Tuttavia, come spesso accade in queste circostanze, la verità è nebulosa e le ipotesi sono tante e suggestive.

Qualcuno sostiene che il limoncello veniva utilizzato dai pescatori e dai contadini al mattino per combattere il freddo, già ai tempi dell’invasione dei saraceni. Altri, invece, ritengono che la ricetta sia nata all’interno di un convento monastico per deliziare i frati tra una preghiera e un’altra. La verità, forse, non la sapremo mai. Ma al di là di questioni squisitamente campanilistiche, il tradizionale liquore giallo varca da decenni le frontiere, conquistando i mercati di mezzo mondo.

Bottiglie di limoncello sono presenti negli scaffali dei market d’oltreoceano, e nuovi importanti scenari commerciali si stanno sviluppando sui mercati asiatici.

Il limoncello, dunque, rischia davvero di diventare un prodotto di caratura mondiale alla pari del Bitter o dell’Amaretto. E per difendersi dalle imitazioni, si è corso anche ai ripari, riservando alla produzione del caratteristico «ovale» sorrentino la denominazione di Indicazione geografica protetta (Igp).

L’originale limone di Sorrento deve essere prodotto in uno dei comuni del territorio che va da Vico Equense a Massa Lubrense e nell’isola di Capri.

Ricetta:
Per confezionare 1 litro e mezzo di Limoncello, procuratevi questi ingredienti:- 10 limoni di media grandezza non trattati, - 1 litro di alcol a 90°, - 400 gr di zucchero- mezzo litro di acqua.

Poi procedete in questo modo: per prima cosa lavate accuratamente i limoni e tagliatene la scorza sottilissima, stando attenti a non tagliare la parte bianca. Mettete le scorze su un tagliere e riducetele a piccole listarelle.

Raccogliete le listarelle di limone in un barattolo di vetro a chiusura ermetica, versateci sopra tutto il litro di alcol, chiudete e lasciate in infusione per 15 giorni.

Trascorsi i 15 giorni, preparate lo sciroppo di acqua e zucchero. In un pentolino versate zucchero e acqua contemporaneamente, quindi scaldate a fuoco dolce fino a che lo zucchero non si sarà tutto disciolto. Spegnete e fate raffreddare a temperatura ambiente.

Unite lo sciroppo all'alcol in infusione mescolando bene. Prendete un secondo recipiente e trasferitevi tutto il liquore filtrandolo con un imbuto rivestito da una garza o da carta filtro. Ripetete l'operazione al contrario una seconda volta, strizzando bene le scorzette di limone.

Infine, sempre servendovi dell'imbuto filtrante, riempite le bottiglie, chiudetele e riponetele a riposare in una dispensa asciutta.

Cose della vita

Una leggenda della Sicilia: Cola Pesce

"C’era una volta a Messina un ragazzo di nome Cola (Nicola), che stava sempre in mare, dove passava intere giornate, facendo vita comune con i pesci. La madre seccata per questo comportamento del figlio, lo maledisse, lanciandogli questa imprecazione: "Che tu possa diventare pesce!". E subito la pelle di Cola divenne squamosa, e le dita delle mani e dei piedi diventarono come quelle delle anatre o delle oche, e tutti lo soprannominarono Cola Pesce. Una volta, il re di Sicilia andò a Messina e, venuto a sapere delle straordinarie qualità di questo marinaio, lo volle mettere alla prova: buttò un anello in mare, e Cola Pesce dovette ripescarlo, e dovette descrivere quel che aveva visto sul fondo del mare. Cola Pesce parlò di quello che aveva notato ,e disse che la Sicilia poggiava su tre colonne, di cui la prima era ben salda, la seconda già rotta, e la terza stava per rompersi; e poi riferì di mostri spaventosi, di vallate immense, di grandi caverne, e il re credette; ma quando Cola disse che sotto il mare c’era pure il fuoco, il re non volle credergli. Allora Cola Pesce disse: "Maestà ,vedete questo pezzo di legno? Io mi tufferò con esso e se lo vedete rimontare a galla bruciato, vuol dire che il fuoco c’è davvero, come io dico; ma vorrà anche dire che io sarò morto, perché il fuoco brucerà anche me". Al re tutto ciò parve una smargiassata, e gli ordinò di tuffarsi ; ma Cola Pesce non tornò più a galla; ritornò invece soltanto il pezzo di legno, bruciato".

sábado, 22 de noviembre de 2008

Les Enfoirés chantent "Qui a le droit?"



...et Jean-Baptiste Maunier et les autres, chantent "la Nuit"

viernes, 21 de noviembre de 2008

I corni




Intorno al 3.500 a.C., gli abitanti delle capanne erano soliti appendere sull’uscio della porta un corno, simbolo di fertilità.


La fertilità, allora, era abbinata alla potenza e quindi al successo. Si era soliti offrire dei corni come voto alla dea Iside affinchè assistesse gli animali nella procreazione.


Secondo la mitologia, Giove per ringraziare la sua nutrice le donò un corno dotato di poteri magici.


Nell’età medievale il corno per portare fortuna doveva essere rosso e fatto a mano.


Il rosso simboleggiava la vittoria sui nemici e doveva essere fatto a mano perché ogni talismano acquisisce poteri benefici dalle mani che lo producono.


Il corno è simbolo della vita, che allontana un’influenza magica maligna. Secondo la scaramanzia napoletana il corno deve essere un dono quindi per portare fortuna non deve essere comprato, inoltre deve essere: rigido, cavo all’interno, a forma sinusoidale e a punta.


Secondo la tradizione napoletana, il corno dev'essere rigorosamente rosso e preferibilmente di corallo e fatto a mano: in corallo, perché la mentalità popolare considerava il corallo una pietra preziosa col potere di scacciare malocchi e proteggere le donne incinte; rosso perché è un colore che viene associato spesso, e in molte culture, alla fortuna; e fatto a mano perché acquista poteri benefici dalle mani che lo realizzano.


Il corno non si compra: si regala.


A Napoli si chiama ‘o curniciello.
(Nunzio Talamo e Tiziano Luccarelli).

Vaffanculo!

jueves, 20 de noviembre de 2008

Mercoledì

Ragazzi, el miércoles yo tampoco puedo ir (Conchi ya nos había dicho que no venía ese día). Lines, Juan, Maribel, si os parece, nos vemos el viernes 28, vale? Dejadme un comentario. Ciao!
Alberto.
Ah....Conchi: Buon appetito e buon pomeriggio!

Caffè sospeso



L’idea è sublime ... e generosa. A Napoli, il caffè sospeso è una tradizione e anche una filosofia di vita che viene da molto lontano. Ai primi del ’900, a Napoli c’era un’abitudine consolidata soprattutto tra la gente del popolo: chi andava al bar per un caffè ne pagava due e alla cassa diceva: «Uno sospeso!». Il ”sospeso” era per chi non aveva soldi. Così, prima di sera, qualcuno, meno fortunato nella vita, passava e chiedeva: «C’è un sospeso per me?» avvicinandosi al bancone. In realtà, quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo...

miércoles, 19 de noviembre de 2008

Giorgia canta Girasole

E come un girasole giro intorno a te

che sei il mio sole anche di notte

e come un girasole giro intorno a te

che sei il mio sole anche di notte

tu non ti stanchi mai tu non ti fermi mai

con gli occhi neri e quelle labbra disegnate

e come un girasole giro intorno a te

che sei il mio sole anche di notte

tu non mi basti mai prendimi l’anima

e non mi basti mai muoviti amore sopra di me

e come un girasole io ti seguirò

e mille volte ancora ti sorprenderò

e come un girasole guardo solo te

quando sorridi tu mi lasci senza fiato

e come un girasole giro intorno a te

che sei il mio sole anche di notte

e metti le tue mani grandi su di me

mi tieni stretta così forte

tu non ti stanchi mai tu non ti fermi mai

con gli occhi neri e quelle labbra disegnate

e come un girasole giro intorno a te

che sei il mio sole anche di notte

tu non mi basti mai prendimi l’anima

e non mi basti mai muoviti amore sopra di me

e come un girasole mi aprirò per te

chiedimi tutto anche quello che non c’e’

e come un girasole io ti seguirò

e ancora ti dirò che non mi basti mai

non mi basti mai

e mille volte ancora io te lo direi

che non c’e’ nessun altro al mondo che vorrei

e come un girasole io ti seguirò

e mille volte ancora mi innamorerò

lunes, 17 de noviembre de 2008

Io canto

domingo, 16 de noviembre de 2008

primeros ejercicios

Ciao belli, os envío los enlaces a las páginas de ejercicios.

Podemos empezar haciendo todos el test que aparece en la dirección:


http://www.iluss.it/ag-page/puntolingua/Puntolingua1.html

Además, Maribel puede hacer los ejercicios de esta página:

http://www.italica.rai.it/lingua/corso.htm

Para Conchi he seleccionado una dirección con ejercicios y, aunque son veinte lecciones, no te asustes, eh? Ya sabes, piano, piano...

http://www.oggi-domani.com/

Lines: a ti te he reservado una página con muchos ejercicios y lecturas, pero no los hagas todos de golpe:

http://www.aulafacil.com/cursosgratis/curso/italiano.html

Finalmente, Juan puede atreverse con una página muy maja de la Universidad de Toronto:

http://www.chass.utoronto.ca/~ngargano/


Buon lavoro!!

Alberto.

Bienvenidos

Ciao Conchi, Lines, Maribel y Juan. Bienvenidos a nuestro nuevo blog para estudiar juntos italiano. Nos vemos el miércoles en la escuela con un montón de buenas ideas.

Baci, Alberto.

Ah! Este blog es por ti, Ana. Gracias por iniciarnos y por animarnos a seguir sin ti. Grazie professoressa!!